SCALDASOLE
Cenni storici
Le prime tracce di insediamenti umani nel territorio di Scaldasole risalgono alla media età del bronzo, analogamente ad altri centri della Lomellina. La frequentazione della zona diventò più intensa in epoche successive, in particolar modo a partire dall’occupazione gallo-romana, come attestano i reperti archeologici rinvenuti a più riprese in località San Maiolo / Cascina Paralupo e lungo la Via delle Gallie nel tratto compreso tra Scaldasole e Valeggio. Sull’origine del toponimo Scaldasole ci sono ipotesi discordanti. Secondo alcuni studiosi, esso deriverebbe dalla forma “Aquæ Solis”, facente allusione ad un territorio ricco di acque e ben esposto al sole [nota]. Secondo altri studiosi, invece, il toponimo Scaldasole deriverebbe dal termine “sculdasius”, ossia “giudice”, ritenendo che il paese, in epoca longobarda, fosse retto da uno sculdascio (ossia un funzionario amministrativo addetto al governo di una fara), dipendente da Lomello [nota]. Secondo altri storici, infine, il toponimo deriverebbe dal germanico “scaldas-hol”, che significa “poco profondo”, “poco inclinato” [nota]. Ad oggi, in ogni caso, i dubbi permangono. La storia di Scaldasole è strettamente connessa a quella del castello, che sorge quasi al centro del paese, con l’ingresso principale rivolto verso una piazza delimitata scenograficamente dal maniero e da altri edifici storici. L’abitato acquistò importanza a partire dal X secolo, quando venne costruito il nucleo più antico del castello, formato da un’alta torre con ricetto (si tratta del castrum iniziale), poi incastonata in costruzioni successive. Secondo gli atti del monastero di San Salvatore di Pavia, il 22 aprile 1334 Galvano e Lanfranchino de’ Campeggi investirono Raynuccino de Fulpertis del “Castrum et Turris de Scaldasole”. Le proprietà terriere dei Folperti aumentarono nel corso del tempo e il castello divenne il centro di un latifondo di più di mille pertiche. Nel 1404 il sito fu fortificato dal nobile pavese Ardengo Folperti, dopo aver ottenuto regolare licenza da Filippo Maria Visconti.
Alcuni anni dopo il castello fu tolto al Folperti, caduto in disgrazia con l’accusa di tradimento e in questo periodo diventò podestà del paese tale Giorgio Passelli. Nel 1436 vi fu la prima regolare investitura di Scaldasole al figlio del gran contabile di Spagna don Jnicio d’Avalos, trasmissibile ai discendenti. Nel 1451 Francesco Sforza restituì il feudo ai Folperti, i quali nel 1456 lo vendettero a Francesco dei Pichi della Mirandola. Il feudo in quegli anni era considerevole sia per i beni che comprendeva sia per la munificenza del castello. La figlia di Francesco Pico, Taddea, sposò il marchese Giacomo Malaspina di Fosdinovo e nel 1465 il feudo di Scaldasole passò a questo casato, che aveva anche altre proprietà in Lomellina. Cominciò allora un’epoca lieta per il maniero, che ospitò personaggi illustri: Isabella di Aragona, l’imperatore Massimiliano I d’Austria, l’imperatore Carlo V e il letterato Matteo Bandello. Nel castello visse anche una donna d’eccezione, Ippolita Fieramonte [nota], celebrata per la bellezza, il mecenatismo e per il coraggio dimostrato nell’assedio di Pavia del 1525. Scaldasole fu poi venduto a Rinaldo Tettoni, che nel 1582 lo cedette, a sua volta, al cardinale Tolomeo Gallio, segretario dei papi Pio IV e Gregorio XIII. Gli eredi del cardinale, i Gallio Trivulzio duchi d’Alvito, mantennero il castello fino al 1799, quando il bene fu alienato in favore del loro livellario, Carlo Brielli; costui, tre anni dopo, lo diede al nobile Giovanni Antonio Strada di Garlasco, la cui famiglia detiene ancora oggi la proprietà del maniero. Nel XIX secolo il castello ospitò il ministro Camillo Benso conte di Cavour e diversi altri statisti risorgimentali.
Il castello
Più volte rimaneggiato nel corso dei secoli, il castello presenta corpi di fabbrica distribuiti intorno a cortili quadrangolari, delimitati da sette torri dotate di merlatura. In passato il maestoso edificio era circondato da un fossato, oggi in parte interrato, ed era dotato di ponti levatoi; le sedi dei bolzoni che regolavano i ponti si intravedono ancora nella trama muraria della torre centrale, sopra la pusterla e l’ingresso principale. Nel 1404 Ardengo Folperti, alto dignitario visconteo, fece erigere l’attuale ricetto dagli architetti Milanino de Saltariis, Bernardo e Martino de Soncino, assegnandogli la funzione di piazza d’arme e di rifugio popolare, mentre la rocca fu trasformata in dimora signorile. In seguito a tali modifiche, il primitivo castrum diventò il cortile di un’ala del maniero riservata al signore; si venne così a creare un grosso fabbricato diviso in due parti [nota], divisione che rifletteva il distacco tra il padrone e i sottoposti. Nella seconda metà del secolo i marchesi Malaspina, nuovi feudatari di Scaldasole, abbellirono l’edificio con un portico e una loggia. Al cardinale Tolomeo Gallio (1527-1607) si devono invece la sistemazione del giardino, delle scuderie vicino all’ingresso nord e della cappella oratorio. Altri ambienti di notevole interesse che si possono ammirare tuttora nel castello sono: la quattrocentesca “camera longa”, dove il feudatario amministrava la propria giurisdizione e dove il Consiglio della comunità locale è riunto fino all’inizio del XIX secolo; la sala da ballo in stile Luigi Filippo, affrescata nel 1846 da un allievo dell’Appiani; la biblioteca; la camera degli orologi; la camera turchina, in cui si tenevano le udienze private. Il complesso castrense, di proprietà privata e visitabile su appuntamento, ospita oggi l’importante raccolta archeologica di Antonio Strada (1904-1968), ispettore onorario alle antichità e ai beni librari per la Lomellina. La collezione comprende reperti di varia tipologia, appartenenti ad un arco di tempo che va dall’età neolitica al periodo longobardo [nota]. Il ricetto custodisce, infine, carrozze e armi d’epoca.
Non lontano dal castello sorge una grande cascina, edificata tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XX, sulla base del tradizionale modello a corte chiusa con abitazioni coloniche, magazzini, essiccatoi, stalle, orti ed animali vari. In un terreno attiguo all’aia, ai limiti della campagna, vi è un laghetto con accesso privato in cui si pratica la pesca sportiva.
La chiesa parrocchiale
Nei registri delle Rationes decimarum del 1322-1323, redatti per la diocesi pavese [nota], è annoverata la chiesa di San Giuliano di Scaldasole, che venne istituita nel XVI secolo come parrocchia. Agli inizi del XIX secolo il parroco lamentava che la chiesa era cadente e non più sufficiente ad accogliere la popolazione, aumentata nel corso del tempo. La nuova chiesa è stata ricostruita a partire dal 1844, su disegno dell’architetto Firnardi di Pavia ed è stata consacrata nel 1877. Essa presenta al suo interno due tele di buona fattura, raffiguranti S. Pietro e S. Giovanni Evangelista, ricordo della parrocchiale più antica.
Chiesa dei Santi Rocco e Bernardino
È una chiesa votiva, voluta dal popolo dopo la peste del XVI secolo. Gli ultimi restauri risalgono al secolo scorso, quando l’edificio è stata elevato e allungato dai marchesi Crivelli. La facciata è scandita da lesene. Ai lati dell’ingresso, in posizione sopraelevata, vi sono due nicchie contenti le statue dei Santi Rocco e Bernardino, a cui la chiesa è intitolata.
Riserva Regionale Boschetto di Scaldasole
La riserva naturale del Boschetto di Scaldasole, situata ai margini della Sp. n. 16 per Valeggio, costituisce una delle poche zone forestali residue della Lomellina. Nella fascia di rispetto vi sono seminativi come il mais, il frumento e l’erba medica, mentre il bosco è occupato da farnie e robinie affiancate da specie arbustive quali il rovo, il sambuco, il nocciolo e il biancospino. Nel bosco hanno fissa dimora colombacci, tortore, usignoli di fiume, capinere, cince, fagiani, storni, picchi, cornacchie e allocchi. Saltuariamente vi nidificano anche delle cicogne. Infine sono presenti delle volpi e numerosi conigli selvatici, specie tipica degli ambienti sabbiosi dove possono costruire le loro tane sotterranee. L’interesse botanico-forestale della riserva è notevole in quanto il bosco occupa un dosso. I dossi o “sabbioni” sono formazioni geologiche caratteristiche della Lomellina. Si tratta di dune di sabbia che si elevano di pochi metri sul livello della campagna circostante, la cui formazione è dovuta, probabilmente, al rimaneggiamento eolico di sabbie depositate alla fine del Diluvium. Tutta la Lomellina, in passato, si presentava come una grande zona paludosa interrotta dai cordoni sabbiosi che formavano i dossi. Attualmente è rimasto ben poco del paesaggio originario, perché le paludi sono state bonificate e i sabbioni sono stati spianati per lasciare spazio alle coltivazioni, di conseguenza molti dossi non sono più riconoscibili come tali [1]. L’accesso pedonale o a cavallo alla riserva, i cui confini percorrono grosso modo i limiti del dosso, è consentito lungo i sentieri indicati, previo accordo con i proprietari dei terreni.
Bibliografia
Elenco di testi e/o siti internet di riferimento:
- R. Bergamo, Storia dei Comuni, frazioni e parrocchie della Lomellina, Pavia, EMI, 1995.
- Sito Internet dell’Amministrazione comunale, sezione dedicata alla storia e ai monumenti locali.
- Sito dei Beni culturali della Regione Lombardia.
- Sito della Regione Lombardia, sezione dedicata alle riserve naturali.